Il centro della galassia: una holostar

L/upd: 2019/05/25
Nell’articolo ci occupiamo di Sagittarius A*, il buco nero supermassivo della nostra Via Lattea, prendendo spunto dall’ultima foto fornita dal team di Event Horizon Telescope. Definiremo i contorni della nostra teoria originale, che lo descrive come una holostar, elaborando al contempo un modello concreto e appropriato di formulazione dell’equivalenza inerziale nei sistemi spazio-rotanti.

Come anticipato nel mio precedente articolo siamo giunti all’osservazione diretta, per la prima volta, di quella che possiamo definire l'”ombra” dell’orizzonte degli eventi di un buco nero, per l’esattezza del gigantesco e supermassivo buco nero M87*, che si trova al centro dell’omonima galassia M87 (o Virgo A). La foto relativa ha fatto il giro del mondo ed è stata giustamente definita “la foto del secolo”. Il team di scienziati del progetto EHT, Event Horizon Telescope, ha reso nota questa novità epocale il 10 aprile 2019, assieme al rilascio della foto ed alla pubblicazione di una serie di dettagliatissimi articoli scientifici.
Ricordiamo: la tecnologia VLBI è la messa in rete di grandi radio telescopi siti in varie parti del globo così da formare l’equivalente di un unico radiotelescopio di raggio pari a quello terrestre, Event Horizon Telescope appunto (EHT). E’ questa la tecnologia che ci ha condotto al risultato. la foto del secolo.
Ci occuperemo meglio dei risultati resi noti al mondo il 10 aprile 19 nel prossimo articolo.

EHT aveva però già fornito un risultato, relativamente a quello che sembrava l’oggetto principale dei suoi sforzi, cioè Sagittarius A*, il buco nero supermassivo della nostra galassia. Sinceramente tutti si aspettavano che il 10 aprile ci si occupasse ulteriormente proprio di lui, visto che il discorso avviato con quel primo risultato sembra rimasto in sospeso.
La differenza con M87*, cosa che avrà con ogni probabilità orientato la scelta del team EHT, è che Sagittarius A* non mostra segni evidenti di un disco di accrescimento, in questo periodo.
Un disco di accrescimento è costituito da materia che, vorticosamente ed a velocità estreme, precipita in un buco nero: mentre fa questo produce radiazione luminosa sotto forma, per noi osservatori remoti, di onde radio. E’ proprio questa luce, che lo inanella, a permettere di vedere come sfondo e per contrasto l’ombra del buco nero.
Ora, se noi partiamo dal presupposto che ogni buco nero sia circondato da un orizzonte degli eventi che non lascia sfuggire nemmeno la luce, solo questa luce di contorno, ultima traccia di vita della materia prima di sparire al di là dell’orizzonte stesso, può restituirci un’immagine che, come un’ombra o uno sfondo, ci permetta di intravvedere il buco nero. Senza disco di accrescimento, un qualsiasi buco nero, essendo circondato appunto da quell’orizzonte invalicabile, rimane totalmente invisibile.
Ho usato in proposito il paragone del Sole e della sua corona (zona che circonda la nostra stella e molto più calda della superficie solare). Se faccio una foto ai raggi x, il Sole appare nero e la corona brillante; per cui, se avessi a disposizione solo i raggi x, potrei vedere la superficie della stella solo per contrasto con la corona. Se quindi, come detto, disponessi solo di rilevatori di raggi x e cercassi stelle da fotografare, privilegerei quelle con una corona, come il Sole.
Ma cosa succede se ho a disposizione non soltanto i raggi x, ma anche la luce visibile? Se rilevo quest’ultima, succede che vedo il Sole, la sua superficie, senza essere abbagliato dalla corona.
Qualche cosa del genere è successa, e suppongo stia ancora succedendo nei computer di EHT, riguardo Sagittarius A*. Con risultati molto imprevisti.
Il team EHT, come dicevo, prima del recente silenzio, aveva già fornito un risultato (con relativa foto di Sagittarius A*). Più esattamente, finora ha osservato che “its (di Sgr A*) emission region is so small that the source may actually have to point directly at the direction of the Earth” ovvero “potrebbe essere che il getto radio stia puntando pressoché nella nostra direzione” e “stiamo guardando questo mostro da un punto di osservazione molto speciale”. Ma ecco i link:
https://www.media.inaf.it/2019/01/22/sagittarius-a-star-alma/
https://www.nanowerk.com/news2/space/newsid=51934.php

Dunque, come potete vedere dalle meravigliose immagini riportate negli articoli, c’è una sostanziale differenza fra ciò che ci si aspettava di vedere (getti di materia accelerata fin quasi alla velocità della luce avrebbero permesso di vedere come loro sfondo la gigantesca sagoma nera, l’ombra, dell’orizzonte di Sgr A*) e ciò che, almeno al momento (cioè senza vero disco di accrescimento) abbiamo visto: una zona di emissione uniforme.
Quindi: o si tratta di materia che sta precipitando su Sgr A* in maniera simmetrica e uniforme, come la rugiada, cosa del tutto incredibile, o si tratta piuttosto di un getto. I getti di materia possono prodursi in seguito ad un effetto imbuto: in parole povere quando si ha un eccesso di materia che precipitando vorticosamente affolla una zona troppo piccola, si produce un effetto imbuto, finché una parte non ne risulta espulsa. Ora, un getto, per risultare alla nostra vista così piccolo e simmetrico, deve puntare direttamente verso la Terra, con una precisione davvero assolutamente rimarchevole.
Naturalmente un’emissione così simmetrica dovrebbe essere polare, il che implicherebbe che il buco nero supermassivo stia ruotando su se stesso “coricato” rispetto al piano di rotazione galattico (come fa Urano rispetto al piano di rotazione dei pianeti del sistema solare). Il fatto poi che uno dei suoi poli possa essere puntato con estrema precisione verso di noi ha la stessa probabilità di realizzarsi di quella di vincere alla lotteria al primo biglietto comprato. Sarebbe come se Galileo, dopo essersi ingegnosamente costruito un cannocchiale adeguato, lo avesse puntato verso la Luna per la prima volta e, come prima cosa, avesse osservato che su di essa vi era un cannocchiale puntato esattamente verso di lui. Per non dire inoltre che un getto di materia “sparato” verso di noi a velocità prossima a quella della luce dovrebbe mostrare un considerevole effetto di blueshift.

La conclusione che io, invece, ritengo più probabile, e che penso verrà corroborata dai risultati delle nuove osservazioni, quando verranno forniti, è che stiamo guardando proprio a ciò che sembra essere, cioè ad una immagine di questa ammiccante superstar, e non ad un orizzonte degli eventi (vedi Nota 1).
(Immagine ancora ingrandita, ma questo suppongo dipenda dalla lunghezza d’onda radio scelta per ogni singolo round di osservazioni, se nelle prossime sarà più piccola – o la frequenza maggiore – immagino avremo un minore effetto zoom).

Come ho scritto nel mio articolo originario la EGR (la estensione della Relatività Generale dai sistemi uniformemente accelerati a quelli spazio-rotanti) non prevede la possibilità di formazione di singolarità gravitazionali e quindi la reale esistenza di orizzonti degli eventi. Il motivo è in larga parte intuitivo, essendo essa una teoria che implica una nuova (e più relativistica) concezione dell’inerzia: come l’inerzia di un corpo massivo gli impedisce di raggiungere una velocità pari a quella della luce, la stessa inerzia gli impedisce di raggiungere una zona dello spazio in cui la velocità di fuga è maggiore o pari a quella della luce, perché per arrivarci dovrebbe arrivarci ad una velocità maggiore o pari a quella della luce. Qualsiasi siano le condizioni, caduta libera come nell’esempio del primo articolo, o elevata densità come nel comune caso del collasso di una stella di neutroni, la singola particella sperimentale P osserva, avvicinandosi alle condizioni più estreme di curvatura, un corrispondente aumento dell’inerzia remota, segnatamente della massa relativistica remota, delle altre particelle, accompagnato dal rallentamento relativo del loro tempo: il loro moto quindi sembra rimanere indietro rispetto a quello della particella P e compensarne in ritardo la crescente inerzia propria. Questa spinta verso l’esterno, data dalle estreme condizioni relativistiche delle altre particelle e che è sperimentata dalla particella P, giunge ad un certo punto ad un equilibrio con la loro pressione gravitazionale su di essa.
La massa inerziale relativistica è relativa, a differenza di quella gravitazionale, che non lo è. Quindi i tempi, per questa sola componente inerziale, che tuttavia è sempre più prevalente in prossimità del raggio di Schwarzschild (vedi Nt 2), vanno trattati come in Relatività Ristretta (in quanto la massa inerziale relativistica non fa altro che sostituire progressivamente la componente velocità quando l’accelerazione agisce in condizioni prossime alla velocità della luce). In particolare, la massa inerziale relativistica è sempre remota per ogni singola particella, riguarda tutte le altre, e non sta affatto accrescendo la massa gravitazionale della particella, ma la sua inerzia propria, o accelerazione inversa, che è una componente centrifuga. Ciò ha come conseguenza quella che il moto di tutte le particelle si adagi alla fine sulla superficie sferoidale di cui parlavamo nel primo articolo, che ha il raggio minore o polare pari al raggio di Schwarzschild.

Dal punto di vista dell’osservatore fast-ticking (vedi Nt 3), lui/lei vede la situazione come quella dell’astronauta rotante appeso alla maniglia (vedi sempre Einstein e i suoi auguri). Vede cioè una componente inerziale costante centrifuga subita dalla particella P (inerzia propria crescente: se potessimo usare il paragone di un protone in un acceleratore, lui/lei vede il protone acquisire sempre maggiore massa inerziale e quindi fare pressione verso il bordo esterno dell’acceleratore stesso, tendendo a descrivere una circonferenza più lunga in conseguenza della maggiore inerzia).
Dal punto di vista della particella singola P, essa vede la situazione come se fosse l’inerzia remota, quella di tutte le altre, a crescere, ma, per la conseguente dilatazione relativistica del loro tempo, questa pressione agisce sempre più in ritardo, lasciando che una parte crescente della propria accelerazione compensi la pressione gravitazionale (sempre usando il paragone dell’acceleratore, il protone, dal proprio punto di vista, vede l’acceleratore acquisire maggiore massa relativistica e conseguente dilatazione temporale, cioè lo vede descrivere una circonferenza con raggio maggiore della propria, il che lo lascia libero di fare più pressione verso il bordo a parità di inerzia propria).

Dal punto di vista più remoto, l’ideale centro della rotazione, la situazione è resa meglio in questo modo: è come se una precessione retrograda (rispetto alla rotazione dell’astronauta) dello spazio comportasse per tutte le particelle, come conseguenza, di star descrivendo circonferenze che rimangono indietro, cioè si concludono geometricamente prima, a parità di raggio, rispetto a quelle euclidee (quelle che tutti conosciamo, relative ad uno spazio piatto). La curvatura gravitazionale ha l’effetto opposto, far loro descrivere circonferenze che si portano avanti, si concludono geometricamente dopo, a parità di raggio (effetto pozzo.. immaginate di star scendendo lungo una scala a chiocciola: per trovarsi sulle stesse coordinate di partenza, ad esempio sull’asse delle y, fate un percorso più lungo di una circonferenza piana, a parità di raggio; ma se l’asse delle y viene fatto ruotare in senso opposto al vostro, voi concludete il percorso percorrendo una distanza inferiore ad una circonferenza piana, a parità di raggio).
La cosa può essere resa con maggiore eleganza dicendo che, dal punto di vista remoto del centro di rotazione, la curvatura gravitazionale tende a far spostare le particelle secondo un angolo tangente al raggio che è inferiore a quello retto, mentre la massa inerziale relativistica legata al loro approssimarsi alla velocità della luce tende a far spostare le particelle secondo un angolo tangente al raggio che è superiore a quello retto. L’equilibrio viene raggiunto proprio lungo l’angolo retto, ad una velocità veramente a ridosso di quella della luce, senza tuttavia che nessuna particella la superi mai.
Questo non è altro che il portato della scoperta, attraverso l’ipotesi della rotazione dello spazio, del ruolo dell’inerzia remota, e della natura relativa del suo rapporto di contrapposizione con l’inerzia propria.

Visto che abbiamo parlato di scale a chiocciola e di tangenti, è opportuno introdurre il modello a spirale logaritmica (o “spira mirabilis”) come modello descrittivo proprio dei sistemi spazio-rotanti.

Definita una spirale logaritmica (vedi i link alla fine) generica come il luogo dei punti percorsi da un punto P in moto rettilineo ed uniformemente accelerato su un segmento crescente OP, segmento a sua volta rotante a velocità angolare ω costante attorno all’origine O di un sistema di coordinate polari (quindi il punto fast-ticking si trova ad un polo in posizione distante), si ha che la distanza r di P dall’origine è sviluppata così (qui e in seguito, “e” è il numero di Nepero, o di Eulero, mentre “^” indica l’inizio dell’esponente):
r=ae^bθ
(si noti che per il punto di vista in O, o origine o punto remoto, P si muove sempre in moto rettilineo ed uniformemente accelerato – o caduta libera – mentre è il sistema delle coordinate x,y a ruotare in direzione opposta; invece il punto di vista fast-ticking, come premesso già nel primo articolo, vede il movimento dell’astronauta aver assorbito totalmente il movimento della ruota). Tra le numerose caratteristiche notevoli della spirale logaritmica, c’è quella che la sua tangente è costante in ogni punto.
Adattando la funzione generica al moto delle galassie, avremo
r= S e^pαθ
dove S è il raggio di Schwarzschild della galassia, p una costante adimensionale, α=dτ/dT=1⁄γ è l’inverso del fattore di Lorentz (vedi Nt 4). (Mi sembra interessante, per qualche mente appassionata di matematica e di simmetrie, rilevare che p≅1⁄e se facciamo la media bruta dei risultati di questi due studi:
https://arxiv.org/abs/astro-ph/0605728
https://arxiv.org/abs/astro-ph/0005241
media che ci darebbe un angolo di “pitch”, cioè il complemento dell’angolo tangente, pari a 20,38° – da rimarcare che per un pitch vicino a 20,20° si ha proprio p=1⁄e). Per completare: θ è la misura cumulativa dell’angolo fra il segmento rotante OP e l’asse delle ascisse, per cui θ=ω∆T , con ω=f(Tc) funzione del tempo cosmologico o “età” dell’Universo Tc (grandezza adimensionale, in questo contesto).

La funzione r= S e^pαθ descrive quindi la curva di isoequivalenza per qualsiasi corpo massivo in un campo gravitazionale piatto, o, meglio, a densità di massa assolutamente costante (o spalmata), tale cioè che dτ/dT=costante≅1 , cioè il luogo dei punti in cui l’inerzia propria e quella remota si bilanciano e si equivalgono e la curva può essere percorsa indifferentemente nei due sensi, in caduta libera. E’ questo il vero significato della tanto da me citata emergenza del principio di equivalenza; allo stesso tempo, l’incomprensione di questa sua emergenza (cioè della reale natura dell’inerzia) causa l’apparente bisogno di materia oscura di cui tanto si parla fino ad ora.
La differenza con l’effettivo moto delle stelle la fa ovviamente la gravità, o meglio le differenze locali e complessive di densità, nonché il crollo della medesima densità al bordo del disco con il passaggio alla zona dell’alone galattico. E’ la gravità parimenti a rendere non indifferenti le due direzioni della caduta libera, ed a far sì che le stelle percorrano curve meno “pitched”, più interne, causando così onde di densità e i bracci di spirale che tutti conosciamo.

Le relativamente piccole differenze di densità lungo la linea di materia stellare prossima al collasso, ci suggeriscono che una spirale logaritmica simile possa descrivere il movimento delle particelle in fase di pre-collasso all’interno di una stella.
Infatti una stella di neutroni in fase di collasso proviene da una stato caratterizzato dalla ERDM, materia degenere estremamente relativistica, in cui la velocità delle particelle è già vicina alla velocità della luce; per cui, mentre sta per iniziare il collasso, se la stella è isolata, l’equazione della spirale congiunta percorsa dalle particelle “deconfinate” (principalmente quark), sempre in coordinate polari, dal punto fast-ticking (che vede l’astronauta, cioè il candidato buco nero, aver assorbito su di se stesso/stessa, in senso inverso, tutta la rotazione spaziale fra lui/lei e sé punto f.t.) è vista diventare:
r= s e^ (δ/D) pαθ
con s raggio di Schwarzschild della stella di neutroni, che descrive anche il raggio polare dello sferoide di massima pressione gravitazionale (quello che chiamavamo centro di massa) all’interno della stella; δ è la densità massima permessa dal principio di esclusione di Pauli, e D la densità reale della materia stellare sulla linea di pressione prossima al collasso; la crescente pressione gravitazionale comporta che δ/D si sta progressivamente avvicinando ad 1, cosicché le particelle deconfinate trovano sempre meno dispersivo, in termini di energia, seguire la spirale in maniera combinata; θ (vedi lo stesso discorso in seguito) è una grandezza cumulativa in senso opposto all’interno ed all’esterno del raggio s, cosicché collassare verso s è, da un certo punto in poi, la soluzione meno dispersiva per le particelle; p è molto piccolo come conseguenza delle differenze di densità a differenti raggi all’interno della stella (curvatura gravitazionale).
Durante il collasso, per r→s in entrambi i sensi (dall’esterno e dall’interno) si ha che il rapporto fra il tempo proprio e quello dell’osservatore f.t. tende a zero
α=dτ/dT→0
cosicché la spirale congiunta compiuta dalle particelle sotto pressione degenera in una circonferenza di raggio s (proiezione polare della reale superficie sferoidale) in cui la materia rimane catturata indefinitamente.

Possiamo descrivere la situazione con il famoso esempio dei cani, da sempre riportato come una delle maniere intuitive di capire e figurarsi la spirale logaritmica: alcuni cani, partendo contemporaneamente da vari punti al bordo di una enorme stanza circolare, e correndo in modo che ognuno di loro abbia come obiettivo quello di arrivare a raggiungere quello alla sua destra, descrivono, in maniera abbastanza intuitiva, ognuno una spirale logaritmica. Ma se, avvicinandosi al centro dello stanzone, ognuno di loro vede il cane alla propria destra farsi progressivamente più grosso, pesante e lento, tenderà, per raggiungerlo, sempre più a mantenere un angolo retto rispetto al raggio che lo collega con il centro, descrivendo alla fine proprio una circonferenza.

Aggiungo, per quanto riguarda le normali stelle di neutroni, che la caratteristica per cui i punti a massima densità, e quindi anche massimamente neutri e compatti, si trovano su uno sferoide a qualche km dal centro geometrico della stella, è una ipotesi di per sé sufficiente a spiegarne i fortissimi campi magnetici, altrimenti incomprensibili. Infatti non solo i componenti diversi dai neutroni si concentrerebbero sia in superficie che al centro, ma essi, per via dell’elevatissimo spin e per la compattezza della stella, si troverebbero intrappolati a ruotare per forza a velocità radiali diverse, con conseguenti enormi e costanti flussi generati nella parte centrale più calda.

Nel caso del nostra amica Sgr A* (vorrei pensare questa superstar al femminile, per il decisivo ruolo matriarcale svolto nei confronti dell’intera galassia) la situazione è diversa, nel senso che essa si trova al di qua di S, il raggio di Schwarzschild galattico.
Si può provare che la spirale logaritmica da noi ricavata (r= S e^pαθ), anche in questo caso, procede nel suo sviluppo con tutta continuità; tuttavia la tangente inizia a modificarsi molto lentamente (ma costantemente), e il suo “pitch” comincia a diventare gradualmente più piccolo, mano a mano che avviluppandosi la spirale guadagna prossimità alla superstar, cioè mano a mano che dτ/dT diventa sempre più minore di 1 e vicino a zero. Inoltre notiamo che θ diventa θ=-ω∆T , cioè geometricamente il segmento OP (dall’origine al corpo P) sembra ruotare in senso inverso (rotazione “time-verse” piuttosto che la precedente “space-verse”); quindi, geometricamente, θ diventa cumulativo in senso inverso. Tutto ciò indica che, da S in poi, la materia può addensarsi in un unico senso, e seguire solamente il percorso che porta verso la superstar, come accennavamo nell’articolo principale. Il fatto che esista un’unica zona centrale di densità e la correlata e progressiva distorsione temporale pongono fine alla relativa isoequivalenza dei due sensi di percorso, conservandola solo per un senso, quello della freccia del tempo, cioè quello che procede verso il centro; parallelamente scompare ogni differenza nel moto dovuta alla gravità, cioè relativa alla massa del corpo P in caduta libera.

Per il resto, come nel caso stellare, per r→s (s raggio di Schwarzschild della superstar) il rapporto fra il tempo proprio e quello dell’osservatore f.t. tende a zero,
α=dτ/dT→0
cosicché la spirale degenera allo stesso modo in una circonferenza di raggio s in cui la materia rimane catturata – se ne pensiamo lo sviluppo sull’intera superficie sferoidale – come in un gigantesco ologramma quasi perfettamente bidimensionale, che emette energia in maniera pressoché uniforme sotto forma di fotoni con grande redshift gravitazionale (onde radio). La densità di questa holostar, nel caso di Sgr A*, è compatibile con l’esistenza di adroni e di elettroni liberi.

E’ interessante notare come la spirale interna al centro di massa galattico, pur sviluppandosi cumulando la sua componente radiale in senso inverso o time-verse, sia, tranne per il tratto finale influenzato pesantemente dalla dilatazione relativistica del tempo, l’esatta riproduzione in scala della spirale esterna (vedi Nt 5). Questa è una delle proprietà della “mirabilis”, ma nel caso della nostra galassia ciò dà luogo ad una armonia o risonanza particolari.
Sappiamo infatti che il raggio di Schwarzschild galattico è circa 0,25 anni luce, 2.4×10^15 metri. Quello di Sgr A*, come la sua massa, è una parte su 200.000, cioè 1.2×10^10 metri. Se manteniamo la proporzione 1.2×10^10 : 2.4×10^15 = 2.4×10^15 : x, si ha x= 4,8×10^20 metri, pari a 50.700 anni luce, che stranamente è il raggio della galassia. Infatti moltiplicato per due ci dà il diametro che tutti conosciamo, circa 100.000 anni luce. Davvero “mirabilis”!
Si veda:
https://en.wikipedia.org/wiki/Schwarzschild_radius#Parameters
per quanto riguarda i due raggi di Schwarzschild, mentre la conclusione a scala circa il raggio dell’intero disco galattico, a quanto ne so, è solo mia.
Questo dimostra, almeno per la Via Lattea, che r= S e^pαθ e r= s e^pαθ sono la stessa identica curva, come nella teoria geometrica della spirale logaritmica (la cosiddetta auto-similarità, che è così importante nella geometria frattale), e che scambiare i due raggi di Schwarzschild si riduce ad una trasformazione di scala uniforme dello stesso oggetto, come quando si cambia lo zoom su Google Maps.
Credo che questo sia dovuto alla fortunata posizione della Via Lattea, localizzata in un ammasso molto molto periferico rispetto al superammasso di riferimento, quello della Vergine, e per di più sempre in un ammasso, quello locale, con una distribuzione a manubrio della massa, con la Via Lattea a rappresentare il centro di una delle due polarità. Credo che sia la posizione migliore per rilevare una “spira mirabilis” così perfetta.

L’altro centro dell’altro polo del manubrio, la galassia di Andromeda, è stato recentemente (su scala di milioni di anni si intende) disturbato dal transito della galassia del Triangolo (la quale, ovviamente, essendo più piccola, ne ha risentito molto di più). Ad ogni modo: la superstar centrale di Andromeda sembra avere una massa 40 volte quella della nostra, mentre il raggio dell’intera galassia è 2,2 volte quello della nostra. Se la nostra precedente proporzione ha un certo valore anche per Andromeda, dovrebbe aversi che la massa di Andromeda sia √88 volte la nostra, cioè circa 9,4 volte. Avendo letto stime che vanno da 1 volta a 20 volte, direi che siamo in una posizione abbastanza mediana.

Allego dei link per una migliore comprensione delle numerose proprietà della spirale logaritmica:
http://www.infinitoteatrodelcosmo.it/2014/03/11/la-spirale-logaritmica-i-frattali-e-luniverso/
http://www.infinitoteatrodelcosmo.it/2014/03/18/14-un-numero-molto-particolare-terza-e-ultima-parte/
http://www.infinitoteatrodelcosmo.it/2018/06/06/si-presto-dire-evolvente/
http://www.infinitoteatrodelcosmo.it/2018/07/04/spasso-matematica-arte-compagnia-del-numero-aureo/

Mi scuso per l’assolutamente cattiva qualità della parte relativa alle equazioni, purtroppo se vorrò cambiarla dovrò procedere ad un upgrade del mio abbonamento al sito ed inserire i plugin necessari.
Non è stato possibile scrivere pedici, mentre ricordo che “
^” indica che ciò che sta dopo è l’esponente.

Ringrazio Maurizio Bernardi per la decisiva segnalazione delle utili proprietà della spirale logaritmica.

English version: The centre of our galaxy: a holostar.

Release: Patamu register #102611 2019/04/02

Note:
1) Il team di EHT, nel suo primo articolo del 10/04/19, precisa che il suo risultato è assolutamente coerente con la metrica relativistica di Kerr (quella di un buco nero rotante su se stesso), ma che esistono almeno altre due soluzioni, oltre quella che prevede un orizzonte degli eventi, che rispettano le previsioni della metrica di Kerr, senza tuttavia prevedere un orizzonte; soluzioni che il risultato del 10 aprile non può quindi escludere. Come vedremo nel mio prossimo articolo, la mia ipotesi, quella della holostar, è la quarta ipotesi, ed è quella che richiede per eccellenza il rispetto della metrica relativistica di Kerr.
2) Il raggio di Schwarzschild è il raggio minimo teorico della sfera entro cui dovrebbe essere compressa tutta la massa di un corpo perché la velocità di fuga sulla sua superficie risulti pari o maggiore della velocità della luce; se il corpo procede nel suo collasso, il raggio di Schwarzschild rimane il raggio della sfera che ne delimita l’orizzonte degli eventi, poiché nessuna informazione può uscire dall’interno di quella sfera.
3) L’osservatore fast-ticking è, in Relatività Generale, l’osservatore inerziale, cioè non soggetto ad accelerazione, molto distante dal campo gravitazionale, e, nel caso dell’EGR, posto in posizione polare, cioè non rotante; il suo orologio, constatando la relativa lentezza di tutti gli altri orologi, è fast-ticking, cioè con il ticchettio più veloce; in conseguenza di ciò, il suo è l’orologio che registra la maggior durata di un evento.
4) Il fattore di Lorentz γ è qui definito semplicemente come il rapporto fra il tempo segnato dall’orologio fast-ticking dell’osservatore non accelerato nella misurazione della durata di un evento, ed tempo proprio, cioè il tempo segnato da un orologio solidale con l’evento la cui durata è misurata: dT/dτ=γ. Il fattore è derivato partendo dalla semplice constatazione che i due orologi devono misurare la stessa velocità, c, nel caso della luce. Qui noi assumiamo la notazione α usata per il suo inverso, per cui α=1⁄γ=dτ/dT, cioè α è il rapporto fra il tempo proprio ed il tempo dell’osservatore non accelerato.
5) In realtà la spirale interna, incluso il tratto finale, è la perfetta riproduzione in scala di quella esterna, ma in una scala quadridimensionale, dato che dobbiamo tenere conto della curvatura dello spazio-tempo. Il cammino seguito da P è esattamente in proporzione, ma è percorso lungo una scala a chiocciola, e quindi, per rimanere in proporzione, termina prima rispetto ad una spirale piatta: è percorso fino a s invece che fino al centro geometrico, poiché la differenza è percorsa attraverso il tempo.

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