Prima immagine di un buco nero: ciò che quadra finora

L/upd: 2019/05/25
Nell’articolo studiamo lo splendido risultato prodotto dal team di Event Horizon Telescope e reso pubblico il 10 Aprile 2019, attraverso la ormai famosa foto del buco nero M87*, nonché attraverso una serie di articoli collegati. Analizziamo alcuni aspetti di questi ultimi che riguardano la nostra teorizzazione della holostar, mostrandone la natura relativistica di oggetto di Kerr.

Come riassunto brevemente nel mio precedente articolo, siamo finalmente giunti all’osservazione diretta di ciò che possiamo definire l’ombra dell’orizzonte degli eventi di un buco nero, per l’esattezza del gigantesco e supermassivo buco nero M87* (da leggere M87 star), che si trova al centro dell’omonima galassia ellittica M87 (o Virgo A: è la più grande galassia del nostro superammasso di riferimento, quello della Vergine). La foto relativa ha fatto il giro del mondo ed è stata giustamente definita la foto del secolo. Il team di scienziati del progetto EHT, Event Horizon Telescope, ha reso noto questo successo epocale il 10 aprile 2019, assieme al rilascio della foto che tutti abbiamo visto ed alla pubblicazione di una serie corposa di dettagliatissimi articoli scientifici.
L’evento del 10 Aprile, che in questo ha spiazzando tutti, non si riferiva quindi a Sagittarius A*, il buco nero centrale della nostra galassia. Era invece riferita a Sgr A* la meno conosciuta immagine precedente, rilasciata ad inizio 2019 (foto reale anch’essa, della quale, in questa oramai lunga mancanza di nuovi riscontri, ci occupiamo nell’articolo citato, in cui sono presenti i link utili).

Le osservazioni rese note con l’evento del 10 aprile non hanno portato solo alla prima foto diretta ed effettiva dell’ombra dell’orizzonte degli eventi di un buco nero, ma anche ad una stima della massa di M87*, pari a circa 6,5 miliardi di masse solari (oltre 1500 volte quella di Sagittarius A*).
Si dice di conseguenza che M87* sia stato scelto dal team di EHT per la sua massa (essendo questa direttamente proporzionale, lo ricordiamo, al raggio di Schwarzschild, a sua volta proporzionato all’ombra che tutti abbiamo visto in foto, essa ci dà da rilevare qualcosa di oltre 1500 volte più esteso – vedi Nota 1). Tuttavia questo non può essere sufficiente, come motivo, poiché M87* è quasi 2000 volte più lontano di Sgr A* (quasi 60 milioni di anni luce contro i poco più di 26.000 di Sgr A*).
Il motivo più plausibile allora è che la galassia M87 è conosciuta per mostrare un getto di plasma, proveniente dal suo centro galattico, così potente che si estende per almeno 5000 anni luce. Si è scelto quindi M87* perché si sapeva in partenza che questo mostruoso buco nero presenta una enorme emissione di materia (espulsa a velocità relativistica proprio in seguito all'”ingorgo” o “imbuto” creato dalla caduta circolare di tanta altra materia verso di lui, in prossimità dell’orizzonte), mentre Sgr A* non manifesta affatto, attualmente, questa caratteristica.
Solo un disco di accrescimento formato da così tanta materia in caduta circolare (o meglio, a spirale), accelerata a velocità tali da emettere radiazioni potenti, poteva fornire a chi guarda, qui dalla Terra, quel folto anello di luce, rispetto al quale il grande orizzonte degli eventi può emergere, per contrasto, come sfondo o ombra.

Infatti, se noi partiamo dal presupposto che ogni buco nero sia circondato da un orizzonte degli eventi che non lascia sfuggire nemmeno la luce, solo questa luce di contorno può restituirci un’immagine che ci permette di intravvedere il buco nero come relativa assenza di luce. Senza un significativo disco di accrescimento, un qualsiasi buco nero, essendo circondato appunto dal suo orizzonte invalicabile, rimane totalmente invisibile, cioè totalmente nero.
Usiamo il paragone del Sole e della sua corona (zona che circonda la nostra stella e molto più calda della superficie solare). Se facciamo una foto ai raggi x, il Sole appare nero e la corona brillante; per cui, se avessi a disposizione solo i raggi x, potrei vedere la superficie della stella solo per contrasto con la corona. Se quindi fossi in cerca di stelle da fotografare, privilegerei quelle con una corona, come il Sole.
Ma cosa succede se ho a disposizione non soltanto i raggi x, ma anche la luce visibile? Se rilevo attraverso quest’ultima, succede che vedo il Sole, cioè la sua superficie, senza essere abbagliato dalla corona.
Una cosa del genere è successa, e suppongo stia ancora succedendo sugli schermi dei computer di EHT, riguardo Sagittarius A*. Vedi sempre il mio articolo Il centro della galassia: una holostar.

Quello che vediamo tutti nella foto rilasciata il 10 aprile 2019, va quindi adeguatamente interpretato.

A) Viene confermata, in ogni aspetto, la Relatività Generale di Einstein, come pure le sue previsioni, sia in merito alla metrica di Schwarzschild, relativa ai buchi neri, sia in merito alla applicazione di quest’ultima, come sembra essere il caso universale, ai buchi neri rotanti, attraverso la più complessa metrica di Kerr.
B) Non possiamo tuttavia dire di star vedendo l’ombra di un orizzonte degli eventi.
Vediamo nel seguito il perché.

Fra gli articoli lunghi e dettagliati pubblicati dal team di Event Horizon Telescope il 10 aprile, ci interessa in merito il combinato disposto dei due seguenti:
https://iopscience.iop.org/article/10.3847/2041-8213/ab0ec7/meta
https://iopscience.iop.org/article/10.3847/2041-8213/ab1141/meta
Se letti accuratamente, ci dicono che quell’ombra ha emissioni di “almeno 10 volte inferiori” alla media della zona “illuminata” della foto. Se considerate la potenza del fenomeno emissivo di base, cioè quello che ci regala il contorno e ci permette di vedere l’ombra, fossero anche mille o diecimila volte inferiori le emissioni della zona d’ombra, sarebbe pur sempre qualcosa di estremamente notevole, considerato l’incredibile redshift gravitazionale dal quale sarebbe segnata la medesima luce per poter sfuggire da un corpo/superficie così massivi. E’ proprio l’equivalente di ciò che dicevamo in merito a superficie solare e corona.
La zona d’ombra ha un raggio pari a circa 2,6 volte il raggio di Schwarzschild. Ciò è coerente con le previsioni della metrica relativistica di Kerr; tuttavia non è inutile rimarcare qui questo aspetto. Infatti, di conseguenza, la zona d’ombra non è affatto l’orizzonte degli eventi di M87*, come anche seri e forse frettolosi commentatori e divulgatori hanno fatto credere ai loro lettori.

Il team di scienziati di EHT, mentre precisa che il suo risultato è assolutamente coerente con la metrica di Kerr, afferma che esistono almeno altre due soluzioni, oltre a quella che prevede un orizzonte degli eventi, che rispettano le previsioni della metrica di Kerr (senza tuttavia prevedere un orizzonte) e che darebbero un risultato equivalente (cioè la stessa immagine); cerco di tradurre testualmente dal primo degli articoli linkati:
“I nostri vincoli sulle deviazioni dalla geometria di Kerr si basano solo sulla validità del principio di equivalenza e sono agnostici sulla teoria della gravità sottostante, ma possono essere usati per misurare, con precisione sempre migliore, i parametri della metrica di background”. Dopo aver escluso quindi le teorie sugli oggetti compatti che non rispettano la metrica di Kerr, fra quante invece ne prevedono il rispetto “altri candidati a oggetti compatti devono essere analizzati con maggiore attenzione. Le stelle di bosoni sono un esempio di oggetto compatto con orbite dei fotoni circolari ma senza una superficie o un orizzonte degli eventi”. Anche “le gravastar forniscono esempi di oggetti compatti con orbite fotoniche instabili e una superficie dura, ma non un orizzonte degli eventi”.
Come si sa, il modello da noi proposto, la holostar, non si basa su una modifica della Relatività Generale e non rigetta affatto la metrica di Kerr, ma si basa piuttosto sull’emergenza del principio di equivalenza dalla dinamica inerziale, e, nel caso più specifico della holostar, sulla conseguente precessione spaziale. Il modello non prevede un orizzonte degli eventi, e prevede qualcosa che solo apparentemente si può definire una superficie.
Precisiamo meglio perché diciamo quest’ultima cosa. Il secondo degli articoli linkati così titola il punto 9.4: “Prova per un orizzonte“. Leggendolo si capisce che sta parlando dell’assenza di evidenza di una radiazione, che dovrebbe collocarsi come minimo nel vicino infrarosso, dovuta all’urto termico della materia con una superficie, differenziandosi così dal continuum della radiazione di sincrotone di un fascio di materia accelerata e in caduta (le onde radio di cui abbiamo parlato fin qui).
Ora, nel modello holostar non è previsto alcun urto particolare, perché il tipo di movimento (e di caduta a spirale) che sta facendo la materia del disco di accrescimento e quello che sta facendo la materia sulla “superficie” della holostar, non sono altro che lo stesso identico movimento, se considerati nella rispettiva scala spaziotemporale quadridimensionale, cioè se teniamo presente il ruolo della dilatazione temporale. Ogni sottoporzione circolare riproduce nella sua scala esattamente la dinamica che osserviamo più in grande, ad esempio già all’esterno del disco, con un movimento a spirale infinito e sempre uguale a se stesso che solo la distorsione temporale ci fa apparire appiattito circolarmente, sulla “superficie” della holostar. Ciò che faceva la materia prima di arrivare a quella “superficie” (in maniera sempre più collimata), lo fa anche dopo, sempre più però in una diversa scala temporale. La zona d’ombra dipende dall’enorme redshift gravitazionale, che può portare soltanto a rilevare lunghezze d’onda sempre più grandi, cioè radiazioni verso la bassissima frequenza radio, e non certo verso il vicino infrarosso.
Essendo il moto di caduta libera della materia del disco time-verse, si può dire che quella materia che vediamo illuminata in foto è già parte della holostar, fa già parte del suo verso di caduta comune, sta già collimando sempre più le traiettorie e sta già condizionando il raggio della superstella, di modo che disco e “superficie”, nelle rispettive proporzioni (come la mela e la Terra), si stanno venendo incontro, percorrendo porzioni di spirale che si ripetono sempre identiche ad ogni zoom della scala spaziotemporale scelta, fino al massimo, cioè fino alla scala della “superficie” stessa, scala di massima dilatazione temporale per le traiettorie percorribili dalla materia (vedi Nt 2).

La zona d’ombra fotografata, la forte riduzione delle emissioni alla frequenza di onde radio prescelta che la caratterizza, la sua dimensione, il rispetto della metrica relativistica di Kerr, tutto ciò non mette in discussione in alcun modo il modello di buco nero descritto tramite la holostar.
Per certe caratteristiche, infatti, la holostar non può essere definita un oggetto compatto, ma piuttosto e in senso più relativistico proprio un oggetto di Kerr. La sua densità, per un osservatore esterno remoto, si ottiene dalla corrispettiva densità di Schwarzschild moltiplicata per R/3 (il rapporto volume/superficie in una sfera). La densità propria è invece molto inferiore, ed è compatibile, nel caso di M87*, con la presenza di ioni atomici.

Un’altra cosa particolare che fa notare il secondo articolo da noi linkato, molto interessante dato l’argomento principale dei nostri articoli, è che, come ogni studio da qualche anno a questa parte, in qualsiasi ambito fisico sia condotto, anche quello del team EHT pone dei vincoli superiori molto bassi alla eventuale presenza di un picco di materia oscura, che pur sarebbe giustificato e atteso data l’enorme massa di M87*.

English version: The first image of a black hole: what is fitting so far.

Note:
1) Il raggio di Schwarzschild è il raggio minimo teorico della sfera entro cui dovrebbe essere compressa tutta la massa di un corpo perché la velocità di fuga sulla sua superficie risulti pari o maggiore della velocità della luce; se il corpo procede nel suo collasso, il raggio di Schwarzschild rimane il raggio della sfera che ne delimita l’orizzonte degli eventi, poiché nessuna informazione può uscire dall’interno di quella sfera.
2) Per una esposizione più ragionata ed una formalizzazione di quanto esposto negli ultimi due paragrafi, rifarsi sempre all’articolo più completo: Il centro della galassia: una holostar.

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